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Tra verità e leggenda: la storia delle reliquie cristiane

La nascita delle reliquie

Con il martirio di Santo Stefano e la disposizione delle sue reliquie si assiste per la prima volta alla conservazione e venerazione del corpo di un santo. Nasce infatti nei primi secoli del Cristianesimo l’usanza di venerare e ricordare un Santo tramite la preservazione delle sue spoglie. Con il monachesimo dei secoli successivi i monaci iniziano a venerare le ossa dei loro fratelli così come avviene ancora oggi nel monastero di Santa Caterina, situato sul monte Sinai, dove i monaci vengono riesumati dopo un anno dalla loro scomparsa e il cranio esposto con il nome vergato sopra, ma solamente se il corpo è già decomposto, diversamente viene riposto nella tomba e vegliato con preghiere ancora per un anno.

Reliquie Taumaturgiche

Se tradizionalmente la capacità taumaturgica delle reliquie viene assegnata al tardo medioevo, è pur vero che già nel Nuovo Testamento un valore taumaturgico era assegnato a quelle cose venute in contatto con “chi guarisce”. Come non ricordare la guarigione dell’emorroissa che toccando solo il mantello del Cristo guarisce dall’emorragia e benché in questo caso non sia associato all’oggetto, negli Atti degli Apostoli verrà poi sottolineato come un oggetto possa avere qualità taumaturgica. La capacità di guarigione legata alle reliquie non nasce dalla suscettibilità del popolo, ma ha un fondamento teologico e spirituale, legato alla concezione mistica e antropologica che porta alla santificazione di una persona. La Grazia divina viene colta in modo diretto e totale, la trasfigurazione avviene nella persona nel suo complesso, fisicamente e spiritualmente la luce penetra il Santo colmandolo di Grazia. Questa energia ha la capacità di guarire perché deriva direttamente da Dio, il corpo è spiritualizzato in vita, assume fattezze divine perché penetrato in ogni sua parte dalla Grazia. Chiunque veneri il Santo ne partecipa, glorificando le sue spoglie si entra in relazione con lui e di conseguenza si è complici nella sua esperienza del Divino.

Il culto

Se inizialmente il culto delle reliquie aveva una dimensione più che altro spirituale con l’avvento delle Crociate la venerazione assume tratti materiali anche dovuto al fatto che si era convinti che la virtus che propagava dai corpi e dalle reliquie dei santi fosse più forte quanto più vicino al sito di conservazione poiché il potere emanava per irraggiamento. Un contatto diretto con le reliquie portava quindi alla Salus, ossia la salute dei viventi e la salvezza eterna dei defunti.

La dimensione liturgica del culto delle reliquie era necessaria al fine di dare sacralità al corpo del santo rendendolo così presente come in vita ora nella reliquia. Proprio per questo molti monasteri e chiese sorgono sopra i luoghi di conservazione delle reliquie, così da esserne in contatto e beneficiare dell’influsso salvifico. L’atto liturgico messo in atto sulla reliquia è legato a filo diretto all’intercessione del Santo tramite la reliquia stessa. Nella dottrina ortodossa viene differenziata la modalità di presenza del Santo che può essere presente come quando era in vita oppure essere una presenza glorificata, che risiede nella beatitudine celeste e da lì intercede per noi. Nella canonizzazione del rito orientale l’icona del nuovo santo è venerata come immagine del Santo nella sua gloria eterna, i martiri non presentano il dramma della morte umana, ma sono trasfigurati nella luce taborica simbolo della vittoria di Cristo. Le icone e la loro venerazione si avvicinano quindi al culto cattolico delle reliquie nella loro sacralità di oggetti dove il divino si manifesta. La reliquia legata al rito liturgico che concretizza la presenza trasfigurata del Santo è simbolo e immagine dell’esperienza della Grazia divina che quest’ultimo poté concepire in vita.

La legislazione sulle reliquie

Con il Concilio Ecumenico Vaticano II viene sottolineato come la Chiesa Cattolica veneri tutti i Santi e riconosca onore alle reliquie autentiche e alle loro immagini. Con il Codice di Diritto Canonico nel 1984 viene stabilito il divieto della vendita delle reliquie, considerate proprietà inalienabili della Chiesa, e ne è regolato il trasferimento. Molti furono i privati che donarono reliquie di loro proprietà alla Chiesa, il caso più eclatante è sicuramente quello della Sacra Sindone, riconsegnata al Papa nel 1984 dopo la morte di Umberto II che aveva espresso questa sua volontà nel testamento. Il culto delle reliquie è quindi sancito ma non dichiarato come assoluto, ma relativo poiché non si riferisce all’oggetto stesso, ma al Santo o Martire a cui esso è collegato. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica le reliquie vengono chiaramente divise dalle immagini sacre e inserite nelle forme di pietà popolare, come i pellegrinaggi, le processioni e i santuari che spesso sono luoghi di conservazione di immagini sacre.

Reliquie sono quindi tutti quegli oggetti appartenuti alla vita di Cristo o dei Santi che non sono soggetti alla corruttibilità legata al tempo, ma sono inalterabili, rimangono fedeli al loro stato originario e per questo possono essere riconosciute tali ed avere così la certificazione ecclesiastica. Un tempo una stessa reliquia poteva venir divisa in più parti e smembrata, secondo la regola che ogni parrocchia dovesse avere il suo pezzo, credenza collegata alla già citata teoria secondo cui il potere salvifico era maggiore se vicini alla fonte. Successivamente questa pratica viene abolita in seguito alla sempre più elevata speculazione dovuta ad un mercato, spesso illegale, di questi oggetti sacri.

Le quattro classi

Le reliquie vengono quindi classificate e divise in quattro classi. La prima classe comprende tutte quelle reliquie che sono del corpo di Cristo o dei Santi e Martiri, come parti del corpo, ossa e frammenti oppure oggetti come la Croce che sono parte integrante della storia di santità. Della seconda parte fanno parte vestiti e oggetti che il Santo ha utilizzato in vita e sono quindi stati a contatto con il loro corpo trasfigurato nella Grazia. La terza classe invece raccolgono oggetti che sono stati in contatto con reliquie di prima classe, ad esempio pezzi di stoffa o piccoli oggetti toccati in qualche occasione. Collari e rosari e qualsiasi oggetto che è stato a contatto con la seconda classe di reliquie fa parte della quarta classe.

La Vera Icona o volto della Veronica

La leggenda del volto della Veronica non si ritrova nei Vangeli, ma è una storia che si diffuse a partire dal XII secolo per poi essere ripresa e resa nota da Jacopo da Voragine nella sua Leggenda Aurea (XIII sec. ca). Il sostantivo Veronica, probabilmente derivante dalla forma latina (Bernice) di un antico nome greco (Berenìke), indica oggi un’icona del volto di Cristo, soprattutto quelle realizzate su stoffa. Questo significato proviene da un episodio della Passione, quello in cui una donna, vedendo Gesù fisicamente provato, ne asciugò il volto con un velo, sul quale poi rimase impressa l’immagine del viso sofferente Cristo. Sebbene nei Vangeli canonici non vi sia traccia del nome della donna che compì tale gesto caritatevole, la tradizione la identifica con la Veronica originaria di Cesarea di Filippo in Palestina, colei che venne guarita da una forte emorragia durante un incontro che ebbe con Gesù mentre egli compiva la sua predicazione.

Il racconto cristiano

La storia compare per la prima volta negli Atti di Pilato, facenti parte dei cosiddetti Vangeli Apocrifi: si racconta che questa donna fosse afflitta da perdite di sangue croniche e questa condizione la rendesse impura, un’emarginata esclusa dalla comunità poiché le era vietato qualsiasi contatto umano. Nella religione ebraica, infatti, la donna vive una situazione di emarginazione durante il ciclo mestruale e alla povera emorroissa, non potendo controllare le sue perdite, era vietata qualunque interazione sociale. Quando in città giunse Gesù, la Veronica prese coraggio ed approfittando della folla accalcatisi intorno al profeta sfiorò le vesti di quest’ultimo convinta che ciò l’avrebbe guarita. Gesù sentendosi toccato chiese ai suoi discepoli chi fosse stato a lambirne le vesti. Gli apostoli risposero che probabilmente era stato un gesto involontario di qualcuno nella calca di persone, ma Cristo insistette per sapere chi fosse stato avendo percepito una forza particolare emanare dal suo corpo. La donna si fece così avanti e confessò a Gesù il motivo del suo gesto, il Cristo quindi in modo benevolo le si rivolse così: “Figlia la tua fede ti ha salvata, va in pace e sii guarita dal tuo male!”, Lc. 8, 43-48.  Tuttavia, è giusto sottolineare che altri studiosi sono invece più propensi a considerare come origine del nome l’unione fra il sostantivo latino “vera” e quello greco “eikóna”, da qui il significato di “vera immagine”.

Le storie pagane

Anche in scritti pagani di origine romana si possono ritrovare informazione riguardanti il velo della Veronica. È narrato infatti che Volusiano, servo fedele dell’Imperatore Tiberio, si recò in Palestina per chiedere alla Veronica di seguirlo a Roma per visitare con il suo velo l’Imperatore che soffriva in quel momento di una grave malattia. La leggenda narra che Tiberio usci guarito da questo incontro e la Veronica iniziò un pellegrinaggio che la portò in Francia dove iniziò un’opera di conversione dei Galli. Alla sua morte lasciò il celebre velo in eredità all’allora Papa Clemente I. Altre fonti invece sostengono che il velo era conservato a Bisanzio e sia arrivato a Roma solo nell’VIII secolo d.C.

La Vera Icona a Roma

Molte sono le fonti, anche letterarie che ne sottolineano la presenza nella città papale, Dante cita il famoso velo nel canto XXXI del Paradiso della sua Divina Commedia, riportando la notizia della sua esposizione durante il Giubileo indetto nel 1300 da Papa Bonifacio VIII. Tale visione era però concessa a pochissimi eletti, neanche Vescovi e Cardinali ne avevano il privilegio che era concesso esclusivamente ai Canonici di San Pietro. Anche Petrarca cita il sacro panno sempre in occasione di un Giubileo, questa volta del 1350. Con il rifacimento della Basilica di San Pietro il Pontefice Urbano VIII fece collocare il Volto della Veronica in una delle quattro cappelle situate nei pilastri che reggono la volta della Cupola. La reliquia fu così posta nella nicchia insieme alla statua realizzata da Francesco Mochi che rappresenta una donna che regge un panno con impresso il volto del Cristo. All’inizio del 1600 si diffusero le voci di un furto riguardante la famosa reliquia, ma nel 1618 venne smentito dal Papato e ancora oggi nella V domenica di Quaresima viene ostentato tale velo dalla loggia di San Pietro.

Il Volto di Manoppello

Parecchi sono coloro i quali sostengono però la veridicità del furto, fra i tanti lo studioso della Sindone Heinrich Pfeiffer che sostiene che il vero Volto Santo sia oggi quello conservato a Manoppello, in Abruzzo. Fu trafugato da Roma per salvarlo dal sacco dei Lanzichenecchi del 1527 e da lì portato a Manoppello. Il telo presenta un volto impresso, vi sono occhi, naso e bocca e dall’occhio destro scende una lacrima sulla guancia. Non sono rilevate tracce di colore e questo indica la sua origine probabilmente divina. Alcuni mettono tuttavia in dubbio che esso sia la stessa reliquia un tempo conservata a Roma poiché le dimensioni dei due veli non combacerebbero. Nel secolo XVII personaggi aristocratici iniziarono a richiedere delle copie del velo conservato a San Pietro e si pensa che queste furono fatte a memoria e non seguendo il modello originario che era stato trafugato, perciò il Volto Santo di Manoppello potrebbe essere quindi una di esse e non l’originale scomparso.

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