L’amore dallo Stilnovismo a Dante
L’amore pervade tutta la letteratura dantesca, ma è nella Divina Commedia che raggiunge il suo trionfo, legato alla celebrazione della figura della donna come soggetto femminile capace di salvare l’uomo dalla perdizione eterna.
Per gran parte dell’alto medioevo la donna fu vista come simbolo di perdizione, demonizzata dalla cultura ecclesiastica come tentatrice e causa della caduta dell’uomo e perdita del Paradiso Terrestre. È solo con la letteratura cortese che la sua figura ottiene di essere riabilitata, dove la donna è al centro di un sentimento amoroso con le sue precise regole di comportamento. Nella letteratura cavalleresca l’amore per la donna assume una forma di totale dedizione mentre nei componimenti provenzali è il desiderio ad essere al centro dell’attenzione, in bilico fra sensualità e idealizzazione, con odi al corpo femminile che sottolineavano la componente fisica dell’amore.
Gli stilnovisti acquisirono alcuni di questi tratti puntando però maggiormente alla nobiltà d’animo della donna, vennero così messi inevidenza i suoi caratteri angelici, sottolineando la parte spirituale del sentimento amoroso, andando a definire l’amore come un processo di elevamento morale che partiva proprio dalle capacità salvifiche della donna. Il concetto di donna-angelo fu preminente in questo tipo di letteratura e nacque da un’intuizione di Guittone d’Arezzo, per poi essere utilizzata successivamente da tutti i più importanti stilnovisti.

La donna come Salvezza
Con Dante vi è un capovolgimento totale della concezione della figura femminile, il Sommo Poeta concepisce l’amore come strumento per avvicinarsi a Dio criticando invece la libertà dei costumi sessuali, letta come simbolo di degenerazione morale. Per Dante la donna non deve essere oggetto di un piacere terreno, ella è invece il tramite fra l’uomo e Dio, è colei che, attraverso un amore sublimato ed etereo, permette agli uomini di poter entrare nella grazia divina e ricevere la salvezza eterna. La figura femminile è una presenza quasi divina, le sue fattezze, le sue movenze ricordano quelle di un angelo e ne fanno un oggetto di profonda ammirazione e contemplazione, libero da qualsivoglia pensiero sensuale e lussurioso.
Molte sono le figure femminili all’interno della Divina Commedia, dall’ Inferno al Paradiso è possibile trovare una serie di donne che vengono usate dal Poeta per raccontare i vari aspetti dell’amore. Nella poetica dantesca la donna è indissolubilmente legata all’amore, il sentimento amoroso pervade la vita delle figure femminili presentate da Dante, negativamente quando si tratta di amore puramente sensuale, in modo positivo quando tramite l’amore della Donna l’uomo può arrivare alla beatitudine. La figura femminile che ha più colpito l’immaginario collettivo ed è diventata ben presto riferimento per poeti ed artisti e quella di Beatrice, amata platonicamente da Dante per tutta la sua vita, musa ispiratrice e centro dei suoi pensieri più elevati.

Beatrice: la vera vita
Beatrice o Bice Portinari, figlia di Folco Portinari, è ormai da quasi tutti gli studiosi ritenuta la Beatrice amata da Dante, colei che ne segnerà per sempre l’esistenza, diventando oggetto d’ amore e soggetto in grado di guidare il poeta verso la salvezza della propria anima. I critici ritengono quasi certa questa identificazione poiché anche Boccaccio, grande ammiratore e conoscitore di Dante, in un commento alla Commedia, si riferisce a tale giovane come la Beatrice dantesca.
Nonostante ciò, notizie sicure sulla vita della donna amata da Dante non ve ne sono, al punto che taluni studiosi hanno dubitato dell’esistenza di tale figura. Tra i pochi documenti che potrebbero provare l’esistenza della giovane è il testamento del 1287 del presunto padre di lei, Folco Portinari dove si può trovare il riferimento ad un lascito destinato alla figlia Beatrice che leggiamo essere sposata con tale Simone de’ Bardi.
Folco Portinari, banchiere fra i più conosciuti nella sua città d’ origine, Portico di Romagna, si trasferisce a Firenze e va ad abitare vicino a Dante insieme alle sue sei figlie. Famoso a Firenze per essere stato il fondatore dell’ospedale di Santa Maria Nuova ancora oggi il principale della città, posto proprio nel centro cittadino.
Altra testimonianza è quella di Giovanni Boccaccio che intorno al 1363 dichiara vera l’identificazione della Beatrice di Dante con Bice Portinari, grazie al fatto che avesse lavorato per i de’ Bardi e avesse avuto rapporti anche con i Portinari. Lo stesso figlio di Dante, Pietro Alighieri, commentatore della Commedia del padre, nel 1360 identifica la donna amata da Dante con Beatrice Portinari.

Un’esistenza fra il vero e il mito
Per quanto riguarda la nascita di Beatrice non vi sono notizie certe, si presume che fosse coetanea o di un anno più giovane di Dante, nato probabilmente nel 1265. Le sole noti biografiche relative alla donna si possono trovare nella Vita Nuova dello stesso Dante. Il racconto dell’incontro, il saluto lungo l’Arno, persino la data di morte sono racchiuse in questo unico testo simbolo di un amore platonico, vissuto profondamente anche se mai realizzatosi nella realtà. Sappiamo inoltre che Beatrice andò in sposa, quando era ancora un’adolescente, a Simone de’ Bardi, rampollo di una famiglia di banchieri.
Nell’archivio della famiglia sono stati ritrovati alcuni documenti che parlano proprio di Beatrice e del marito, tra di essi anche un atto notarile datato 1280 dove de’ Bardi concede alcuni terreni al fratello con il consenso anche della moglie Bice. Si ritiene che Beatrice sia morta molto giovane probabilmente dando alla luce il suo primo figlio. Fu sepolta secondo la tradizione nella chiesa di Santa Margherita de’ Cerchi, situata a pochi passi dalle dimore degli Alighieri e dei Portinari.Ad oggi però si ritiene che sia molto improbabile che questo sia il reale luogo di sepoltura poiché essendo una donna sposata le sue spoglie avrebbero dovuto esser conservate presso la tomba del marito. Alcuni studiosi, perciò, indicano come luogo più plausibile la cappella dei Bardi in Santa Croce a Firenze.
Beatrice nella letteratura dantesca
La figura di Beatrice accompagna Dante in buona parte della sua vita artistica, come già accennato la troviamo per la prima volta nella Vita Nuova, composizione a lei dedicata, dove viene descritta con i tratti della donna-angelo tipici dello stile stilnovistico. Qui il Sommo Poeta ci racconta di averla incontrata per la prima volta a nove anni per ritrovarla poi all’età di diciotto anni.
Già dai primi scritti Beatrice assume un ruolo che va ben aldilà del semplice soggetto amoroso, presentandosi come colei che può portare il poeta alla salvezza eterna e al raggiungimento della beatitudine perpetua. Sebbene nella Vita Nuova la sua figura sia ancora principalmente quella di soggetto passivo, oggetto del sentimento su di lei riversato, già s’intravede la sua potenza salvifica, che sarà ben esplicata poi nella Commedia, potenza che permette a Dante di elevarsi spiritualmente grazie alla perdita della dimensione terrena dell’amore che viene sublimato in un sentimento più spirituale e trascendente, un amore per il Divino nella sua totalità.
Nella Commedia Beatrice è soggetto attivo; la ritroviamo già nel II canto dell’Inferno quando supplica Virgilio di fare da guida al Sommo Poeta, ma il suo trionfo come figura salvifica è ben sottolineato nel XXX canto del Purgatorio quando arriva in trionfo su carro trainato da angeli, simbolo della Chiesa. La donna è vestita di un velo bianco su cui è posta una corona d’ulivo, l’abito è rosso e sopra di esso porta un mantello verde. I colori non sono casuali, infatti essi richiamano le tre virtù teologali, virtù che grazie alla guida di Beatrice, mezzo attraverso cui la grazia divina si può rivelare a Dante, potranno essere finalmente apprese appieno dal Sommo Poeta.
La purezza dell’amore di Dante per Beatrice
L’amore di Dante per Beatrice è quindi privo di ogni connotazione sensuale, non legato alla dimensione terrena, sublimato nel pensiero della salvezza eterna. La donna è colei che salva il Poeta, l’amore assume un aspetto trascendente, il sentimento si eleva al di sopra della semplice passione, in una comunanza di spirito che salva Dante dalla perdizione e lo porta alla consapevolezza dell’immensa grandezza di Dio e della necessità della Fede per comprendere nella loro interezza i misteri della vita umana.