Le origini
La rappresentazione della Natività di Cristo ha origini antiche, il momento della nascita del Messia ebbe sempre una grande importanza ed un elevato valore simbolico per la comunità Cristiana, rappresentava la venuta del Salvatore e la possibilità di redenzione per l’intera umanità.
Già nelle Catacombe di epoca romana, quando i primi Cristiani erano costretti a professare la loro fede religiosa in clandestinità a causa delle persecuzioni, è possibile ritrovare esempi raffigurativi della Natività, semplici immagini di Maria che tiene in grembo il Bambin Gesù.
Successivamente, con la libertà di professare liberamente la fede Cristiana, grazie all’Editto di Galerio che nel 311 d.C. poneva fine alle persecuzioni e soprattutto all’Editto di Costantino che due anni dopo sanciva nuovamente la libertà di culto anche per i cristiani, le chiese furono presto decorate con scene della Natività di Cristo.
Il Presepe
Intorno al XII secolo fu poi la volta delle prime rappresentazioni scultoree e nel 1223 San Francesco diede vita al primo Presepe vivente della Storia. Il Santo si era recato nel 1220 in pellegrinaggio in Palestina per visitare i luoghi sacri inerenti alla vita di Gesù, era rimasto particolarmente colpito da Betlemme e tornato in patria iniziò a pensare ad una rappresentazione della nascita di Gesù.
Spinto da questo desiderio chiese a Papa Onorio III il permesso di poter dar vita a tale rappresentazione, il Pontefice acconsentì alla richiesta di Francesco con la sola obiezione di non portare in scena la Natività in chiesa, poiché la regola di quel tempo non lo permettevano. San Francesco riprodusse allora la sua idea all’aperto, a Greccio, un paesino vicino a Rieti.
Fu approntata una mangiatoia con della paglia in una grotta mentre alcuni frati si occupavano di illuminare la scena con alcune torce. Curioso è il fatto che sebbene questo sia considerato il primo Presepe vivente, in questa rappresentazione non vi erano né la Vergine Maria né San Giuseppe.
La leggenda racconta poi che mentre il Santo celebrava la messa apparve nella mangiatoia un bambinello in carne ed ossa subito preso in braccio da San Francesco. Nel 1283 fu Arnolfo di Cambio a scolpire le prime statuette per creare il presepe come noi oggi lo conosciamo. Erano otto statuette di legno che rappresentavano la Natività insieme alle figure dei Magi.
Questo presepio è ancora oggi visibile, conservato presso la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. In seguito alla realizzazione della Natività voluta da San Francesco la tradizione di approntare il presepe in vista del Natale si diffuse in tutta la penisola italiana, prima in Toscana ed in Emilia per arrivare intorno al XV secolo anche nel Regno di Napoli.
Questa sacra rappresentazione, sottoforma soprattutto di statuette, arrivò anche nelle case della Nobiltà, il suo uso spinto anche dalle parole benevole pronunciate da Papa Paolo III durante il Concilio di Trento (1545-1563).
I personaggi all’interno del Presepe assumono significati particolari oltre alla loro stessa figura. Il bue a l’asino rappresentano rispettivamente gli Ebrei ed i Pagani, coloro cioè che non colsero la venuta del Messia e perciò lo condannarono a morte.
I pastori, sempre presenti nel presepe, sono simbolo dell’umanità, che sarà salvata dall’estremo sacrificio di Cristo sulla croce.
L’adorazione di Maria e Giuseppe nei confronti del Bambino ne sottolinea la sua natura divina e di essere speciale.
I Magi sono poi simbolo delle tre età dell’uomo: la giovinezza, la maturità e la vecchiaia, o secondo altre interpretazioni rappresentano le tre razze in cui si divide l’umanità, descritte nel racconto biblico: semiti, camiti e giapetici.
I doni che invece portano in regalo avrebbero il ruolo di indicare la complessa natura di Gesù: la mirra a rappresentarne l’aspetto umano, l’incenso la divinità e l’oro la sua figura di Messia.

Il Rinascimento e la rilettura della Natività
La Natività fu inoltre soggetto per molti artisti del Quattrocento italiano, che inserirono nelle loro rappresentazioni elementi di novità donando nuove prospettive nella lettura di questo tema caro a tutto la cristianità.
A rompere con rigidi schematismi e raffigurazioni geometriche del primo Quattrocento fu certamente Sandro Botticelli che inserì nella sua Natività Mistica, datata 1501 e conservata oggi alla National Gallery di Londra, forti innovazioni stilistiche e rappresentative.
È bene sottolineare come l’appellativo mistica sia stato dato in epoca moderna da studiosi che hanno rilevato un forte simbolismo all’interno della scena.
Il dipinto rappresenta l’adorazione di Maria, Giuseppe, pastori e Magi del Bambino Gesù, posto al centro della scena su un telo bianco. Il Bambinello è posto all’interno di una grotta con alla sua sinistra la Vergine adorante e alla destra un Giuseppe pensieroso; la grotta presenta un’apertura sul fondo così da far intravedere lo sfondo naturale in lontananza. Non mancano l’asinello e il bue simboli di Ebrei e Pagani.
Tutt’intorno alla Sacra Famiglia si avvicendano diverse figure, con un andamento ritmico incalzante che ricorda quasi quello di un balletto. Due angeli ai lati portano rami d’ulivo, simbolo di pace, mostrando a Magi e pastori l’evento miracoloso della nascita di Gesù. In basso Angeli e uomini si ritrovano abbracciati a rimando della venuta del Giudizio finale, quando l’umanità si ritroverà in comunione con Dio, conquistata grazie al sentimento di fratellanza e alla preghiera.
Curiosa è la presenza di alcuni diavoletti che fuggono infilzandosi con i loro forconi, simbolo della prossima liberazione dell’umanità dal male grazie al sacrificio di Cristo. Sopra la tettoia che ripara la grotta sono posizionati tre angeli vestiti rispettivamente di bianco, rosso e verde a ricordare le tre virtù teologali ossia Fede, Carità e Speranza.
Al di sopra della scena madre è dipinto un carosello di dodici angeli disposti a semicerchio dando particolare ritmo e movimento alla composizione. Sembra che questo elemento riprenda una rappresentazione dell’Annunciazione, tramite bambini sollevati per mezzo di una struttura in legno, realizzata da Filippo Brunelleschi in San Felice in Piazza a Firenze.
Sul fondo è possibile intravedere alberi disposti a semicerchio e un barlume dorato che dovrebbe richiamare al Paradiso. Molto significativo è che in questo dipinto è rappresentata sì la nascita di Cristo, ma tramite elementi premonitori anche al suo futuro sacrificio sulla Croce e alla venuta conseguente del Giudizio Universale alla fine dei Tempi.
Botticelli inserisce perciò elementi visionari, nuovi in un contesto di richiamo comunque alla tradizione pittorica fiorentina del suo tempo. Di stampo conservatore sono la gerarchizzazione delle figure, con la Sacra Famiglia rappresentata con dimensioni maggiori rispetto agli altri personaggi o l’utilizzo dell’oro ad illuminare la visione del Paradiso.
La novità sta soprattutto nel dinamismo che la libera posizione delle figure dona alla raffigurazione, i movimenti dei personaggi e la loro disposizione su più piani forniscono vivacità alla scena. I colori sono poi brillanti, pieni, attirano l’attenzione dello spettatore.
Importante è poi la prospettiva dell’intero dipinto: grazie all’apertura sul fondo della grotta lo spazio si dilata, la posizione su piani diversi delle figure permette a Botticelli di rendere la profondità della scena donando tridimensionalità alla rappresentazione.

Caravaggio e la Natività
Molti furono gli artisti che anche nei secoli successivi si cimentarono nella rappresentazione della Natività. Uno fra tutti Caravaggio che nel 1600 dipinse la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi.
Quest’opera rispecchia totalmente lo stile del Merisi, il realismo della scena è palpabile, la rappresentazione del vero accentuata dall’utilizzo come modelli di persone del volgo, gente comune, emarginati e poveri, colti in atteggiamenti spontanei e realistici.
I giochi di luci ed ombre, caratteristici dei quadri di Caravaggio, donano un senso di drammaticità all’evento, una forte carica espressiva coinvolge lo spettatore nel momento narrato. San Giuseppe si presenta a noi molto più giovane rispetto alla consueta sua rappresentazione, raffigurato di spalle, vestito di un verde manto.
La Vergine Maria appare come una donna del popolo, dai tratti comuni, non c’è divinizzazione della sua figura, ma anzi il suo sguardo malinconico ci restituisce una madre preoccupata e triste per il futuro già preannunciato del figlio. Sembra che la modella utilizzata per la Madonna sia la stessa che ha dato il volto a Giuditta nel famoso dipinto Giuditta e Oloferne dello stesso Merisi.
A sinistra possiamo ritrovare San Lorenzo, mentre a destra è collocato S. Francesco d’Assisi probabilmente in onore dei Francescani che gestivano l’Oratorio di San Lorenzo a Palermo a cui era destinata l’opera. Il Bue e l’asinello sono posto in secondo piano, l’asino è quasi difficile da scorgere, si compenetra con lo sfondo in ombra.
Al di sopra del Bambinello, poggiato su un cumulo di paglia, vi è un angelo a simboleggiare la gloria divina. Interessante è la storia di questo dipinto: l’opera caravaggesca fu rubata nel 1969 ed ancora oggi è nella lista delle dieci più importanti opere d’arte rubate stilata dall’FBI americana.
La Natività di Maurizio Carnevali

La Natività di Patrimoni d’Arte nasce dalla stessa volontà che ha spinto gli artisti del passato a rappresentare una scena come quella della Natività, così importante nel nostro comune patrimonio culturale e valoriale cristiano.
L’artista Maurizio Carnevali ne dà però una sua interpretazione molto particolare: la sacra famiglia non è rappresentata seguendo lo schema classico di collocamento dei personaggi, ma la Vergine e San Giuseppe sono stretti in un abbraccio che protegge e riscalda la figura di Gesù Bambino posto fra le braccia amorevoli della madre.
La carica emotiva della scultura è percepibile negli sguardi d’amore che sono rivolti al Bambinello, i gesti sono gesti familiari, umani, non vi è nulla di trascendente, ma sprigionano amore e benevolenza per un figlio appena nato. Le figure sono legate dalla loro stretta vicinanza: Maria tiene in grembo Gesù Bambino, vicino al suo petto, come a cercare di proteggerlo dal suo destino futuro, il bambino allunga dolcemente una manina fino a toccarne il viso, un semplice segno di tenerezza che ne sottolineano la natura umana oltre che divina.
San Giuseppe regge delicatamente con una mano la testa del neonato, come potrebbe fare un qualsiasi padre alla vista del proprio figlioletto, questo sottolinea l’impegno dell’uomo a crescere quel bambino come suo e ad amarlo incondizionatamente.
In alto è poi raffigurato un Angelo che suono una tromba, a simboleggiare la gioia dei Cieli per la venuta al mondo del Salvatore. È quindi rappresentata in quest’ opera un esempio di famiglia terrena, vera, reale, lontana dalle immagini sacralizzanti a cui siamo abituati, una famiglia che ci permette di sentirci vicini, possiamo realmente sentire l’amore che scaturisce da quell’abbraccio così stretto e profondamente autentico.
L’opera è stata donata a Papa Francesco durante l’udienza generale del 21 novembre 2018, come ringraziamento per i suoi insegnamenti sul valore fondamentale che l’amore della famiglia svolge nella vita di tutti, guidandoci sul giusto cammino per entrare in comunione con Dio, insegnandoci ad amare incondizionatamente e a sacrificarci per gli altri, facendo spazio a Gesù nel mondo.