Ma chi erano i cavalieri erranti?
«Sembrami, signor canonico, che il suo discorso tenda a farmi credere che non abbiano avuto mai esistenza al mondo i cavalieri erranti e che i libri tutti di cavalleria sieno falsi, bugiardi, nocivi ed inutili alla repubblica. Ella aggiunge ch’io ho fatto male nel leggerli e peggio nel prestarvi fede, e più male ancora nell’imitarli, intrapreso avendo di farmi seguace della durissima professione della errante cavalleria da essi insegnata». Così rispose Don Chisciotte al termine della prima parte dell’omonimo libro, quando un curato cercò di convincerlo ad abbandonare la sua vita errante e a ritornare a casa.

Don Chisciotte è fortemente risentito dal fatto che si possa dubitare che i cavalieri erranti siano esistiti e aveva ragione: i cavalieri erranti non furono meri personaggi di fantasia, ma esistevano ben prima della scrittura del capolavoro della letteratura spagnola, basti pensare ai guerrieri in Terra Santa durante le crociate o al Cid Campeador, il grande condottiero che fu al servizio dei re spagnoli e conquistò Valencia.
L’aggettivo “errante” equivale a girovago, ad indicare il vagabondare del cavaliere per vasti territori in cerca di grandi avventure, o allo scopo di dimostrare il proprio valore.
Al di la della rappresentazione letteraria i cavalieri erranti erano l’espressione di quella parte dell’aristocrazia feudale che si era impoverita nel corso dei grandi rivolgimenti avvenuti nel periodo storicizzabile come di passaggio tra l’alto e il basso medioevo. Molti figli secondogeniti, senza eredità e restii a seguire la carriera ecclesiastica, peregrinavano per corti, regni e castelli per offrire i propri servizi militari, con la speranza di accasarsi un giorno con una nobildonna che portasse loro il patrimonio di cui erano privi. E dove non vi erano guerre da combattere, provavano a distinguersi nei tornei, sfide in cui si cercava di sconfiggere i nemici per poi esigere consistenti riscatti in cambio della loro libertà, tutto ciò in presenza di un pubblico nobile in cui non mancavano le fanciulle da marito.
Descrizione di un cavaliere

Foto: Oronoz / Album
È con loro che nasce e si sviluppa il genere del romanzo cavalleresco, il cui massimo splendore giunge nel XIV-XVI secolo. I protagonisti di questi racconti meravigliosi erano proprio i giovani cavalieri che, lasciando il palazzo di qualche sovrano o potente signore, si mettevano in viaggio per compiere una qualche grande impresa.
Cosa li accumunava? Innanzitutto un soprannome evocativo, come “cavaliere della Fortuna”, “cavaliere del Cigno” o “cavaliere della Croce”.
In secondo luogo (e non per importanza) un grande obiettivo: una lunga peregrinazione in cerca di un nemico. Questi, come accade in Palmerino di Inghilterra – un romanzo della metà del XVI secolo dedicato all’origine dei bretoni – poteva essere un gigante impadronitosi di un castello, che l’eroe sconfigge, liberando i prigionieri e conquistando così gloria perenne.
Terzo fattore che spingeva questi cavalieri a rischiare una vita errante era la promessa data a una dama di compiere gesta gloriose in suo onore. Perciò portavano sul corpo il simbolo – come un pugnale sulla gamba o un anello al collo – di un asservimento amoroso da cui sarebbero stati “liberati” solo attraverso il combattimento con un altro cavaliere. Queste tenzoni potevano avere luogo durante un torneo celebrato a corte o anche all’aperto, nelle cosiddette “imprese” o “gesta”.
Eroi letterari
Numerose e magnifiche sono le storie dei cavalieri erranti all’interno della letteratura ma alcune più di altre sono impresse nella nostra memoria storico-culturale:
Orlando, l’eroe de La Chanson de Roland

Orlando, o Rolando, marchese di Bretagna, fu uno dei più valorosi paladini di Carlo Magno, ma presto la cristianità medievale ne fece il suo eroe ed il protagonista della più antica chanson de geste, la “Chanson de Roland”, consegnandolo così alla leggenda.
Intorno alla nascita ed alla fanciullezza di Orlando nacquero numerose leggende: di certo egli appartenne alla famiglia reale, ma taluni arrivarono a dirlo il frutto dell’amore incestuoso fra Carlo Magno e la sorella Berta. Il giovane Orlando fu educato a corte, sotto la direzione del vescovo Turpino, e si distinse nella battaglia d’Aspromonte, quando re Carlo stava per essere sopraffatto dai Saraceni, e dove riuscì a strappare al principe nemico la spada Durendal, che divenne la leggendaria ed inseparabile Durlindana.
L’episodio più importante della vita di Orlando fu quello reso celebre dalla chanson, il disastroso agguato nelle gole di Roncisvalle, nel territorio della Navarra, del 778.
Numerose le opere letterarie dove appare l’eroe, tra le più famose: la Chanson del 1100, l’Orlando Innamorato del Boiardo e l’Orlando Furioso dell’Ariosto, questi ultimi considerati tra le opere fondamentali della letteratura italiana.
Lancillotto

Nel ciclo arturiano, Lancillotto del Lago (o semplicemente Lancillotto, in francese Lancelot du Lac o Launcelot) è uno dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Nella maggior parte della letteratura cavalleresca francese (e nelle opere da essa derivate) Lancillotto viene presentato come il più valoroso e fidato dei cavalieri al servizio di Re Artù. L’illecito e tragico amore tra Lancillotto e Ginevra (regina e moglie di Artù), che rompe l’equilibrio di Camelot (diventando una delle cause della sua caduta), fu uno dei simboli dell’amor cortese medievale. È celebre, per esempio, la citazione dantesca di Lancillotto e Ginevra nel canto di Paolo e Francesca della Divina Commedia.
Benché Lancillotto sia uno dei personaggi più celebri del ciclo arturiano, e uno dei meglio noti al pubblico moderno, egli non appare nella leggenda originale. Vi è tuttora un certo dibattito riguardo a chi sia l’autore che ha inventato il personaggio di Lancillotto; certamente, fu Chrétien de Troyes il primo a farne il protagonista di romanzo, il celebre Lancillotto o il cavaliere della carretta.
Don Chisciotte Della Mancia, il cavaliere errante per eccellenza
Don Chisciotte della Mancia (in spagnolo El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha) è un romanzo spagnolo di Miguel de Cervantes Saavedra, pubblicato in due volumi, nel 1605 e 1615. È considerato non solo come la più influente opera del Siglo de Oro e dell’intero canone letterario spagnolo, ma un capolavoro della letteratura mondiale nella quale si può considerare il primo romanzo moderno. Vi si incontrano, bizzarramente mescolati, sia elementi del genere picaresco sia del romanzo epico-cavalleresco, nello stile del Tirant lo Blanch e del Amadís de Gaula. I due protagonisti, Alonso Chisciano (o don Chisciotte) e Sancho Panza, sono tra i più celebrati personaggi della letteratura di tutti i tempi.
Lo scopo di Cervantes è sottolineare l’inadeguatezza della nobiltà dell’epoca a fronteggiare i nuovi tempi che correvano in Spagna, un periodo storico caratterizzato infatti dal materialismo e dal tramonto degli ideali,[4] e contraddistinto dal sorgere della crisi che dominerà il periodo successivo al secolo d’oro appena conclusosi. “Don Chisciotte lamenta la diabolica invenzione della polvere da sparo che aveva messo fine per sempre alla fase cavalleresca della guerra.

Cervantes con il suo protagonista vuole inoltre mettere in ridicolo la letteratura cavalleresca per fini personali. Infatti, egli fu soldato, combatté nella battaglia di Lepanto e fu un eroe reale (ovvero impegnato in battaglie reali in difesa della Cristianità), ma trascorse gli ultimi anni della sua vita in povertà (leggenda vuole che Cervantes trascorse gli ultimi suoi anni di vita in carcere), non solo non premiato per il suo valore, ma addirittura dimenticato da tutti.
Le gesta
In conclusione i cavalieri erranti non sarebbero esistiti senza le loro incredibili gesta: a queste imprese veniva dato di solito un nome poetico, ispirato ai romanzi cavallereschi. In Francia, per esempio, si celebrarono le gesta della Fonte delle Lacrime, della Bella Peregrina, della Pastorella, del Cavaliere del Cigno, della Dama Sconosciuta… Durante il primo di questi, per un anno intero, nel primo giorno del mese un cavaliere anonimo doveva mettere di fronte a una fonte, sotto una tenda, l’effigie di una dama con un unicorno che portava tre scudi cosparsi di lacrime bianche. L’“avventuriero” che toccava gli scudi, si impegnava a combattere in onore della dama secondo le condizioni stabilite.
