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Antonio Canova: 200 anni del genio neoclassico

Una nuova bellezza che trascende l’antico

Duecento anni fa, il 13 ottobre 1822 moriva Antonio Canova, l’artefice divino.

Nato a Possagno, vicino Treviso, Canova fu uno dei più grandi artisti del Neoclassicismo europeo, uno degli ultimi grandi maestri italiani che tutto il mondo occidentale ci invidiò e si contese.

Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti, 1787-93. Marmo, altezza 1,55 m. Parigi, Musée du Louvre.

Critici, conoscitori, poeti, letterati suoi contemporanei furono tutti concordi nel definirlo eccelso, inarrivabile.

La sua morte fu vissuta come un lutto universale. In un’epoca che gravitava attorno al culto per l’antico, fu uno dei pochi a essere considerati alla pari con i maestri dell’età classica

Il Nuovo Fidia

Canova fu valutato come pari a Fidia, il grande scultore greco del V secolo a.C..

Fidia fu l’artista che meglio riuscì ad interpretare gli ideali dell’Atene periclea.

Il cantiere del Partenone, per il quale Fidia lavorò come sovrintendente, fu un grande laboratorio nel quale si formò la scuola degli scultori ateniesi attivi nella seconda metà del V secolo a.C. e tra i quali occorre almeno ricordare Agoracrito, Alcamene e Kolotes.

Iride, dal frontone ovest del Partenone

Dal 447 al 432 a.C. Fidia guidò un gruppo di scultori nella realizzazione della decorazione dei frontoni del Partenone, il grande tempio voluto da Pericle sull’Acropoli dedicato alla protettrice della città, Atena.

Moltissimi ani dopo, grazie a Canova, la bellezza tornò a essere come l’avevano concepita gli artisti della Grecia antica: ideale, universale, eterna.

Con le sue opere l’antico arriva ai contemporanei in una nuova veste, rivisitato, così da creare una modernità costruita a partire dalla classicità.

Nascita e giovinezza

Dopo la perdita del padre in giovane età, Canova fu affidato al nonno paterno, abile scalpellino e capomastro che gli insegnò i primi rudimenti nella lavorazione del marmo, intuendone il grande talento artistico.

Nel 1768, per incentivare e migliorare la sua già innata abilità nella scultura, inizia a lavorare nello studio dei Torretti, gli stessi che lo introdurranno nell’ambiente artistico veneziano.

È proprio nella città lagunare che inizierà a frequentare anche la Pubblica Accademia di Nudo.

Sono di questo periodo le prime importanti opere, come Orfeo ed Euridice (1773) e Dedalo e Icaro (1779).

Dedalo e Icaro (1779)

Roma: l’incontro con gli ideali neoclassici

Il 1779 è l’anno in cui Canova arriva a Roma ed inizia ad acquisire fama internazionale per le sue opere, stabilendovisi definitivamente nel 1781.

Qui realizza alcune fra le sue sculture più affascinanti, ispirato dallo studio delle statue antiche e dal viaggio, compiuto nel 1780, a Pompei, Ercolano e Paestum sulla base dei contemporanei fondamenti neoclassici.

Di carattere soprattutto mitologico, fra le sculture più famose non è possibile non citare Teseo e il Minotauro (1781-83) Amore e Psiche (1787-93) e le Tre Grazie (1812-17).

Teseo e il Minotauro 1781-1783,
 Londra, Victoria and Albert Museum.

Amore e Psiche: quando l’amore incontra la bellezza

Nel corso della sua carriera, Canova affrontò più volte il tema dell’amore, trasfigurandolo nel mito. In particolare, amò la vicenda di Amore e Psiche, alla quale dedicò alcuni gruppi scultorei.

Il più celebre, risalente agli anni 1787-93, presenta le figure dei due amanti giacenti e oggi si trova al Louvre.

Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti, 1787-93. Particolare.
I soggetti

Il soggetto è tratto da una favola dello scrittore latino Lucio Apuleio (125-170 d.C. circa), che nelle sue Metamorfosi raccontò di come Amore (altro nome con cui è conosciuto Cupido, Eros per i Greci) si fosse perdutamente innamorato della mortale Psiche, una principessa talmente bella da suscitare l’invidia e la gelosia della stessa Venere.

Il capolavoro di Canova illustra uno dei momenti più lirici del mito. Amore si china a baciare la sua adorata Psiche, dopo averla risvegliata dal sonno mortale in cui questa era caduta.

La donna alza le braccia, in un gesto elegante e leggero, sfiorando con le dita delle mani i capelli del suo amato.

Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti, 1787-93. Particolare.

Le loro labbra si avvicinano ma non si uniscono.

I corpi adolescenziali, dalle forme perfette (secondo un principio di bellezza spirituale e assoluta), si accostano ma non si stringono. 

Il desiderio, testimoniato dalla mano di Amore che sfiora il seno di Psiche, è palpabile ma non espresso.

Le loro labbra si avvicinano ma non si uniscono. I corpi adolescenziali, dalle forme perfette si accostano ma non si stringono. 

Anche la composizione del gruppo è perfettamente controllata: le figure si intersecano formando una X, mentre i due volti, quasi congiunti, sono incorniciati dal tondo formato dalle braccia di Psiche.

Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti, 1787-93. Particolare.

Canova ha saputo fermare l’azione dei due amanti in un attimo eternamente sospeso. I due giovani rimangono rapiti uno nella bellezza dell’altra.

Tutta la scena si pervade, in tal modo, di un sottilissimo e raffinato erotismo, che sicuramente contraddice l’idea, assai diffusa, che la scultura neoclassica sia incapace di rappresentare i sentimenti.

Non è questo il compito dell’arte neoclassica che mira ad altro scopo; sicché, il travolgimento dei sensi viene sciolto nella tenerezza, lo slancio amoroso viene sfumato nel perenne incanto della contemplazione.

L’opera, insomma, rispetta pienamente i canoni dell’estetica neoclassica e celebra prima di tutto il tema della bellezza ideale.

Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti, 1787-93. Particolare.

Artista ufficiale dell’Imperatore Napoleone

L’intero continente europeo rimane ammaliato dalla maestria di Canova tanto che molti sovrani e dignitari ne richiedo i servigi per statue celebrative della loro grandezza o monumenti funebri che li avrebbero resi noti ai posteri.

Nel 1798 l’artista lascia Roma dopo l’arrivo dei francesi e si ritira a Possagno dove si dedicherà principalmente alla pittura. La pittura divenne per Canova propedeutica alla scultura.

Nel 1800 fa ritorno a Roma e nel 1804, Napoleone Bonaparte, appena eletto imperatore, gli affida il ruolo di suo ritrattista ufficiale.

Per il sovrano francese realizza Napoleone Bonaparte come Marte Pacificatore (1803-09) e ritrae la sorella Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice (1804-08).

Paolina Borghese
Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice (1804-08)

Rappresentata come Venere vincitrice, Paolina è sdraiata su un materasso, con la schiena comodamente appoggiata a due cuscini.

I seni della donna-dea sono scoperti, la mano destra regge il capo mentre nella sinistra possiamo notare il famoso pomo della discordia, consegnatole da Paride per eleggerla la più bella, scatenando l’ira di Giunone e Minerva.

Le Tre Grazie

Per la prima moglie di Napoleone, Giuseppina Beauharnais, Canova realizzò il gruppo scultoreo delle già citate Tre Grazie (1812-17) che portò a termine solo dopo la morte della donna.

Nell’opera sono rappresentate le tre Grazie, figlie di Zeus, che rappresentano simbolicamente lo splendore, la prosperità e la gioia.

Le Tre Grazie (1812-1817). Ne esistono due versioni: la prima è conservata al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, mentre una sua replica successiva è esposta al Victoria and Albert Museum di Londra.

Le tre dee sono rappresentate in un girotondo dalle forme eleganti, unite da un panneggio che avvolge le loro sinuose forme armoniose in una pura e perfetta raffigurazione.

Il dialogo silenzioso dei gesti che lega le tre figure esprime un forte sentimento umano sprigionando una forte carica empatica sia fisica che emotiva.

Le Tre Grazie (1812-1817). Particolare.

Ad accentuare la dimensione terrena, la scelta di Canova di dare al gruppo marmoreo una patina rosata, che dona umanità a figure di per sé eteree.

L’opera, quindi, trasmette una forte cari- ca vitale, una purezza eterna che si ritrova nell’esaltazione della perfezione del corpo femminile.

Riconoscimenti e morte

Lo scultore veneto viene insignito nel 1802 di un importante incarico come Ispettore Generale delle antichità e delle arti dello Stato della Chiesa, ruolo che vede impegnato nella valorizzazione e protezione del patrimonio artistico dei possedimenti Papali.

Nel 1815 è a Parigi per richiedere il rientro delle opere d’arte italiane, esportate senza diritto in Francia dalle truppe napoleoniche, obiettivo che lo vedrà in parte vincitore.

Torna a Possagno, paese natale, nel 1819 e dà inizio ai lavori per la Chiesa Parrocchiale della Santissima Trinità, ricordata dai posteri come Tempio Canoviano, terminata dieci anni dopo la sua morte avvenuta a Venezia nel 1822.

La sua Arte

Antonio Canova si approcciava al processo di lavorazione di un’opera scultorea realizzando come prima cosa un disegno, uno studio di pose e modelli, base del processo creativo.

Creava poi un bozzetto in argilla di piccole dimensioni che sarebbe servito a dare un’idea precisa per la scultura finale. Dalle piccole dimensioni si passava poi al modello in argilla a grandezza reale che sarebbe poi stato distrutto nelle successive fasi di realizzazione dell’opera.

www.museocanova.it

Dall’argilla era poi estratta la forma in gesso. Il modello precedente veniva distrutto e ciò che restava era questo involucro, spesso smontato in vari pezzi a cui erano aggiunte delle anime in metallo che davano vita ad una struttura portante per il gesso a grandezza naturale colatovi all’interno.

Il gesso veniva perfezionato attraverso la levigazione e la correzione di eventuali sbavature e su di esso venivano apposti dei chiodini in bronzo chiamati repère. Le repères servivano per delineare una mappa dei punti chiavi o capi punto ed andavano a formare una griglia di triangoli che sarebbero poi stati misurati con dei compassi al fine di riportare le misure sul marmo.

www.museocanova.it

A questo punto il modello in gesso veniva accostato al blocco di marmo ed entrambi erano posti sotto dei telai dai quali scendevano dei fili di piombo che delineavano i punti più sporgenti del gesso e permettevano così una giusta misurazione per scolpire la statua.

Da sottolineare che Canova non scolpiva direttamente il marmo che era in realtà una copia del gesso a grandezza naturale. Il blocco marmoreo veniva sbozzato dai collaboratori dell’artista e solo per l’ultima fase entrava in scena il Canova, per perfezionare l’opera e trasmetterne l’essenza che era alla base di quella creazione artistica.

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